L’abitato antico sorgeva sopra un’altura naturalmente munita, a circa 6 km dal mare; intorno a esso si estendevano i sepolcreti, particolarmente  addensati nella necropoli dei Monterozzi. Fu uno dei centri più importanti della dodecapoli etrusca: già formato nell’VIII, fiorì soprattutto dal VII al V sec. a.C., soggiacque alla supremazia di Roma nel IV sec. a.C., ma continuò con ordinamenti e vita culturale autonoma fino all’ultimo secolo della repubblica romana. Le scarse testimonianze monumentali dell’abitato consentono tuttavia di riconoscere tracce di una planimetria urbanistica regolare, a vie diritte e incrociate. L’edificio più notevole che si conosce è il basamento di un grandioso tempio (la cd. Ara della Regina), di forma rettangolare con unica cella e forse con colonnato su tre lati, presumibilmente di 25 x 44 m, costruito nel IV o nel III sec. a.C. Il tempio, la scalea di accesso con podi sagomati e la muraglia di sostruzione lungo il lato sud sono di opera quadrata con blocchi di tufo: colonne e modanature erano di nenfro; la trabeazione di legno con rivestimenti di terracotta.

La cinta urbana, in gran parte riconoscibile lungo un perimetro totale di circa 8 km, è anch’essa di opera quadrata, senza torri, con sviluppo irregolare che segue l’andamento dell’altura: può datarsi tra la fine del V e la metà del IV sec. a.C. L’architettura sepolcrale è rappresentata dai tumuli (VII-VI sec. a.C.); ma più diffuso appare il tipo del sepolcro scavato nella roccia, con elementi imitanti gli interni delle case, generalmente con soffitto a doppio spiovente, ma anche a cassettonato (età ellenistica) e in forma displuviata (tomba della Mercareccia). L’interesse artistico di T. si concentra essenzialmente nelle testimonianze della pittura funeraria, che costituiscono il nucleo più notevole di monumenti pittorici conservato, non soltanto in Etruria, ma in tutto il mondo classico prima dell’età imperiale romana.

Si possono visitare nella necropoli dei Monterozzi, in ordine topografico, partendo dall’abitato moderno, le tombe dei Loculi, del Guerriero, del Padiglione di Caccia, della Caccia e della Pesca, delle Leonesse, della Pulcella, dei Giocolieri, dei Caronti, 808, del Gorgoneion, Cardarelli, 1701, dei Fiorellini, della Caccia al Cervo, Bartoccini, dei Festoni, dei Leopardi, dei Baccanti, Querciola, della Mercareccia, del Morto, del Tifone, degli Scudi, del Cardinale, dell’Orco, dei Vasi Dipinti, del Vecchio, del Morente, delle Iscrizioni, del Topolino, Francesca Giustiniani, del Mare, Giglioli, del Barone, del Frontoncino, dei Leoni di Giada, dei Tori, della Capanna, dei Tritoni, degli Auguri, del Pulcinella; si conservano distaccati nel Museo Archeologico di Firenze un frontone della tomba Tarantola e nel Museo Archeologico Nazionale di T. parte dei dipinti della Tomba Bruschi; inoltre è stata distaccata integralmente, per salvarla da irreparabile perdita, la decorazione delle tombe delle Bighe, del Triclinio, del Letto Funebre, delle Olimpiadi, della Nave e della Scrofa Nera, a opera dell’Istituto Centrale del Restauro.

La documentazione della pittura tarquiniese si estende dal VI al III sec. a.C.: essa presuppone un fiorente e ininterrotto sviluppo della decorazione pittorica degli edifici sacri e civili etruschi ed è preziosa anche ai fini della conoscenza della tecnica, dei caratteri e della storia della grande pittura parietale greca, purtroppo perduta. I dipinti furono eseguiti a fresco sopra un lievissimo strato di intonaco (eccezionalmente in modo diretto sulla roccia spianata) e per lo più preparati da un disegno graffito, che attesta il procedimento dei pittori imitanti a mano libera i loro modelli e offre talvolta la gradevole spontaneità dello schizzo. Dal punto di vista del significato e del valore delle pitture funerarie occorre tener presente che esse erano destinate essenzialmente ai defunti e piuttosto con intenti magico-religiosi che genericamente commemorativi; benché non si possano trascurare, come è evidente, nella decorazione dei sepolcri anche le esigenze sociali e le capacità economiche dei committenti. Ciò spiega la raffinatezza di figurazioni per destinazione precluse alla pubblica ammirazione e giustifica l’ipotesi che alla loro esecuzione possano essere stati chiamati pittori di vaglia.

Il gruppo più antico di tombe dipinte, di stile arcaico, appartiene al VI e al V sec. a.C. Fatta eccezione per il quadro mitologico della Tomba dei Tori (agguato di Achille a Troilo), il repertorio consueto dei soggetti comprende scene di banchetto allietate dalla musica e dalla danza, di giochi e di agoni, probabilmente funerari, e di cerimonie sicuramente funerarie: rappresentazioni, dunque, di vita reale, seppure alludenti alla morte. Per ciò che concerne lo sviluppo stilistico, non si conoscono a T. pitture di tradizione orientalizzante o dedalica, come in altre località etrusche (ad es., Cerveteri, Veio): le prime tombe dipinte, come quella dei Tori, rivelano già pienamente l’influsso figurativo greco-orientale o ionico, dominante in Etruria nelle fasi dell’arcaismo medio e maturo. Composizioni vivaci, talvolta sbrigliate e con particolari ricchi di carattere, figure per lo più carnose e in atteggiamenti movimentati, talvolta elementi di paesaggio contraddistinguono il disegno dei complessi pittorici degli ultimi decenni del VI sec. a.C. (tombe delle Iscrizioni, delle Olimpiadi, del Maestro delle Olimpiadi, degli Auguri, delle Leonesse, della Caccia e della Pesca, delle Baccanti, dei Giocolieri, Cardarelli, 1701, 1999, ecc.).

Il colore, distribuito uniformemente in campi delineati nettamente dal contorno grafico, appare intenso e con forti contrasti, spesso decorativamente irreale. Le figurazioni dipinte si presentano più sobrie, composte, ritmate nella Tomba del Barone; mentre in altri casi tendono a irrigidirsi in una stilizzazione manierata delle formule ionizzanti (Tomba dei Vasi Dipinti, fregio inferiore della Tomba delle Bighe). I riflessi del disegno attico si manifestano, a partire dal 500 a.C. circa, già nella Tomba delle Bighe e in particolar modo nel fregio superiore con scene di ludi agonistici; e successivamente nelle tombe del Triclinio, dei Leopardi, del Letto Funebre, del Frontoncino, della kylix di Hieron, di cui soprattutto la prima, databile fra il 480 e il 470 a.C., riflette taluni schemi raffinati, dinamici e lievemente patetici, del disegno greco del tardo arcaismo, trattati da un pittore di mano felice nel delineare le figure e nell’armonizzarne i colori. La tradizione di stile severo si prolunga nella pittura funeraria tarquiniese, con mediocri esemplari (tombe Francesca Giustiniani, Querciola, della Pulcella, della Nave), ben oltre i limiti della sua scomparsa in Grecia sotto l’impulso rinnovatore della pittura classica e probabilmente sino alla seconda metà del V sec. a.C.

La produzione pittorica, così intensa durante l’arcaismo, pare successivamente diradarsi e interrompersi, almeno per un certo periodo. Tuttavia non mancano, specialmente dopo le ultime scoperte, singole testimonianze di questa fase intermedia, compresa tra la fine del V e la seconda metà del IV sec. a.C. e caratterizzata dal progressivo affermarsi degli elementi dello stile classico nella composizione, nel disegno delle singole figure, nel chiaroscuro, ecc. Tra queste, in particolare, la riscoperta Tomba della Scrofa Nera. In generale persistono alcune assuefazioni tradizionali, con particolare riguardo all’iconografia e al predominio del contorno lineare. Ma, a partire dal IV sec. a.C. e poi nell’età ellenistica, si avvertono considerevoli innovazioni rispetto alle pitture funerarie arcaiche; giacché lo schema del banchetto appare trasferito nel mondo dell’oltretomba, con una più evidente individualizzazione dei personaggi rappresentati e con la presenza di divinità e demoni dell’averno greco ed etrusco; mentre vanno aggiungendosi anche scene di commiato e di partenza e di viaggio dei defunti verso il regno delle ombre.

Specialmente notevole è l’intento di accentuare la desolazione e l’orrore della morte attraverso figurazioni di esseri infernali mostruosi che, se pure non mancarono nella pittura greca, ebbero in quella etrusca uno sviluppo maggiore e più caratteristico. Alla seconda metà del IV o agli inizi del III sec. a.C. appartengono i cicli pittorici della Tomba dell’Orco, nell’ambiente di destra, con il famoso finissimo frammento di testa femminile di Velia consorte di Arnth Velcha, e nell’ambiente di sinistra, con il grande fregio della Nekyia. Al III e al II sec. a.C. si aggiudicheranno la decorazione della Tomba degli Scudi, dove il disegno scarno e vigoroso accenna a volte al ritratto individuale, delle tombe Bruschi, dei Caronti, Giglioli e di altre minori. I dipinti della Tomba del Cardinale, quasi del tutto scomparsi, sono degni di rilievo per il complesso e oscuro soggetto escatologico del fregio (una sorta di Libro dei Morti figurato) e per la presenza, nel primo e unico caso constatabile a T., di una tecnica compendiaria. Sia con questo complesso che con la Tomba del Tifone, che offre motivi di sapore asiatico (i demoni anguiformi) e classicistico, oltreché una scena di marcia agli inferi non priva di riscontri con il ritratto e il rilievo romani, siamo già pervenuti ai limiti tra il II e il I sec. a.C.

La scultura in pietra tarquiniese è caratterizzata, in età arcaica, dai rilievi a quadretti su lastre di pietra pertinenti alla struttura e alla decorazione delle tombe; mentre, a partire dal IV sec. a.C., si concentra soprattutto nelle figure dei sarcofagi con defunti distesi o recumbenti e nei rilievi con soggetti mitologici e scene di viaggi e soggiorni nell’oltretomba. Salvo casi eccezionali, il livello di queste sculture funerarie è piuttosto scadente; non mancano, per altro, esempi di ritratti concepiti con un certo vigore espressivo, come quello del sarcofago di Laris Pulenas e, soprattutto, di un grande sarcofago calcareo anonimo, proveniente dalla Tomba dei Partunu e conservato nel Museo di T., che può annoverarsi tra le opere più nobili della plastica etrusca di età ellenistica. Assai poco, rispetto ad altri centri, si conserva della plastica fittile di decorazione architettonica; ma il frammento di altorilievo frontonale con figure di cavalli alati, proveniente dal tempio dell’Ara della Regina (IV-III sec. a.C.) offre un indizio quanto mai suggestivo dell’esistenza di complessi stilisticamente e tecnicamente eccellenti anche in questo genere di produzione figurata e ornamentale tipicamente etrusca. Altre categorie di monumenti e di oggetti (ceramiche plastiche, incise e dipinte, suppellettili e statuette di bronzo, intagli di avorio e d’osso, oreficerie e armi decorate) rientrano nella comune produzione etrusca di “arte applicata”, senza che sia lecito finora individuarne una sicura provenienza da botteghe tarquiniesi specializzate o con tratti distintivi e caratteristici.

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